di Matteo Cassani

 

 

 

 

 

 

Se c’è un compositore che più di ogni altro incarna il contrasto aperto che si apre in seno alla musica a cavallo tra l’800 e il ‘900, questo è Erik Satie. Il suo approccio anti-accademico, la sua repulsione per il lirismo romantico italiano quanto per il wagnerismo, condite da un sostanziale dissenso verso ogni connotazione soggettiva ed emozionale della musica, lo porta ad essere esorcizzato dal mondo accademico e dall’orecchio educato dei salotti tardo ottocenteschi, ma avvicina e alimenta quei gruppi d’avanguardia che iniziano ad imporsi ai margini del panorama culturale, ma che presto diventeranno centrali e trasversali nella “nuova” società del XX secolo.

 

La biografia. 

Èric Alfred Leslie Satie, detto Erik, nasce a Honfleur (Francia) il 17 maggio del 1866. Alla morte della madre, il padre si risposa con una pianista dieci anni più vecchia di lui; Erik inizia ad avvicinarsi alla musica grazie alla matrigna, e con i suoi insegnamenti viene ammesso al conservatorio di Parigi nel 1879. Qui iniziano i primi problemi, perché se da un lato Satie sente la musica scorrere dentro di lui, dall’altro professori ed insegnanti lo giudicano privo di ogni talento, tanto da bocciarlo.

Deluso dall’accademismo nel quale non trova espressione, si arruola nell’esercito nel tentativo di colmare le sue mancanze; tentativo inutile perché ben presto si rende conto che non è quella la sua strada, e per sfuggire dalla divisa, rimane all’aperto in una gelida notte invernale, auto infliggendosi una congestione polmonare.

Ai limiti della società, non ci sorprende l’amicizia che nasce tra il compositore e l’ambiente simbolista francese, in particolare con i poeti “maledetti” Stéphane Mallarmé (1842 – 1898) e Paul Verlaine (1844 – 1896).

Le sue composizioni ricalcano quel carattere anti-accademico e contrario ai principi estetici e ai valori ritenuti fondamentali dall’opinione comune, tanto che in pochi anni finisce in miseria, disprezzato dal pubblico e dalla critica ufficiale.

Grazie all’amicizia con Claude Debussy (1862 – 1918), si avvicina alla religione, aderendo alla confraternita dei Rosacroce; questa dimensione spirituale sarà musicalmente proficua, ma alimenterà in lui una consapevolezza mistica che lo porterà negli anni successivi a fondare la Église métropolitaine d’art de Jésus-Conducteur, una sua chiesa personale, di cui fu gran sacerdote nonché il solo fedele.

Les Six

Il “periodo mistico” finisce all’inizio del ‘900, quando trasferendosi a Parigi conosce Jean Cocteau (1889 – 1963) a sua volta molto vicino a Pablo Picasso (1881 – 1973). Inizia il suo periodo cubista.  Intanto dà vita al Gruppo dei sei, i suoi “eredi musicali”, tra i quali spiccano Darius Milhaud (1892 – 1974), Georges Auric (1899 – 1983) e Francis Poulenc (1899 – 1963).

Satie si spegne a Parigi nel 1925.

 

L’approccio compositivo. 

Satie si schiera apertamente contro ogni approccio accademico, rompendo gli schemi tradizionali e le consuetudini, proponendo invece uno stile compositivo basato sulla libertà formale. Gli elementi che più colpiscono, e che più colpirono negativamente la maggior parte dei suoi contemporanei, sono proprio la pressoché totale assenza di sviluppo tematico, e la mancanza della tendenza alla risoluzione tipica della musica tonale; gli accordi si susseguono tra loro senza precisi rapporti, e fanno da sfondo a melodia diatoniche e modali.

Alcuni di questi elementi non sono del tutto lontani da alcuni accenni, come l’ambiguità tonale, che già aveva caratterizzato parte della produzione di Gabiel Faurè (1845 – 1924). Ma Faurè  è un post-wagneriano della scuola di Saint-Sean, e soprattutto insegna al Conservatorio di Parigi, esponente di spicco del mondo accademico di allora, che tanto si schiera contro Satie.

 

L’Iterazione. 

Uno degli aspetti più interessanti e innovativi della composizione di Satie è l’interazione, ossia l’utilizzo della musica come mera durata, senza alcun riferimento metrico o ritmico. La musica è pulsazione, scorrere con “strutture musicali a livello zero” come le definirà l’americano John Cage (1912 – 1992), tra i più importanti interpreti del compositore francese.

E proprio sulla base di questa idea, la musica diventa struttura re-iterata, incessante. È il caso del terzo brano di vieux sequins & vieilles cuirasses, dove lo stesso frammento musicale viene ripetuto per 267 volte, oppure di Vexations (1893), che sarà presentato in concerto solo quasi un secolo dopo, nel 1963, da Cage, che con altri quattro pianisti si alterna nelle 18 ore di durata del brano; ripete lo stesso incessante tema per 840 volte consecutive. Si veda anche le fils des étoile del 1891, e la ripetizione ossessiva di quattro quarte giuste accompagnate da un tritono.

 

Le composizioni più celebri. 

Gymnopédies è forse la più famosa e conosciuta, composta nel 1888. E’ caratterizzata, come molte altre, dall’ironia e dall’umorismo del compositore, che si diverte a contrapporre titoli ed espressioni imponenti e profondi (Le Gimnopedie erano delle festività nell’antica Grecia, caratterizzate dalla presenza di giovani danzatori nudi) con l’impostazione tipica dell’autore a considerare la musica “inchiodata” sul posto, priva di qualsiasi espressività.

Parade invece si inserisce nel periodo “cubista”, all’apice della maturità compositiva. E’ una satira pungente verso il fatto che l’immensa bravura degli artisti di strada sia in realtà ai margini del mondo dell’arte, sui marciapiedi e nell’indifferenza collettiva. La musica è provocatoria, con continui accenni al jazz e motivi circensi, uniti a rumori della vita moderna come sirene, colpi di pistola, aeroplani etc, attingendo a piene mani dal repertorio musicale futurista; sulla stessa linea, ma qualche generazione dopo, sarà George Gershwin (1898 – 1937) con un americano a Parigi.