di Matteo Cassani

Data simbolo per il nostro paese, riflette in realtà profonde dinamiche che hanno costituito le fondamenta del nostro Stato.

La transizione.

Manifestazione Cnl. Da sinistra a destra: Mario Argenton, Enrico Stucchi, Ferruccio Parri, Raffaele Cadorna, Luigi Longo, Enrico Mattei, Augusto Solari


Il dopoguerra in Italia, così come nel resto d’Europa, fu uno dei momenti più difficili per una penisola a fatica liberatasi dal giogo nazi-fascista, e alle prese con una crisi sociale ed economica di scala ampissima. Se infatti il settore industriale era stato toccato marginalmente, l’agricoltura era quella che aveva subito più danni, seguita a ruota dall’edilizia e da molti altri, sui quale pressava l’ombra di un’inflazione sempre maggiore. Il Cnl (comitato di liberazione nazionale) aveva l’oneroso compito di organizzare uno Stato profondamente diviso al suo interno, dalle disparate condizioni sintomo di un’unità formale mai divenuta pienamente sostanziale.

Ivanoe Bonomi (1873 – 1951), Capo del Governo dal 1944, quando Roma fu liberata dagli Alleati, fa un passo indietro, dimettendosi e lasciando spazio ad un esecutivo più rappresentativo dell’Italia liberata. La scelta ricade su Ferruccio Parri, esponente di un partito minore, il Partito d’Azione, ma dal grande prestigio personale acquisito con la militanza nella Resistenza. Si trattava di una coalizione, nella quale trovavano spazio tutti i partiti della Cln; ma la vita politica dell’esecutivo Parri è breve. Infatti l’intera azione di governo è mirata all’epurazione, cioè alla punizione sociale ed economica di tutti coloro che si compromisero con il fascismo, a partire dai funzionari statali, fino ai più grandi esponenti del potere economico; gli interventi volti ad una maggiore tassazione delle grandi imprese in favore delle piccole e medie, provocano il dissenso dell’ala moderata, in particolare del Partito Liberale Italiano, appena ri-fondato da Luigi Einaudi e Benedetto Croce, che nel Novembre del 1945 presenta una mozione di sfiducia, aprendo la crisi di governo.

È l’occasione che la Democrazia Cristiana attendeva da mesi; Alcide de Gasperi è la candidatura perfetta. Esponente di

Alcide De Gasperi

spicco del partito cattolico, apre ad una svolta moderata che caratterizzerà l’Italia per moltissimi anni a venire. Il grande progetto di riforma economico voluto da Parri è accantonato, così come profondamente rallentata è l’epurazione (un principio difficile da applicare con equità, se solo consideriamo il grande consenso trasversale che in Italia ci fu intorno al fascismo), che si risolse con una grande amnistia emanata dall’allora ministro della Giustizia Palmiro Togliatti.

Il drastico allontanamento dall’idea, dai risvolti anche utopistici, di un radicale rinnovamento del Paese generò malcontento soprattutto negli ambienti legati alla sinistra e agli ex-partigiani, che seppure sfociarono in qualche caso in manifestazioni di piazza, non furono mai appoggiate concretamente da alcuna rappresentanza politica; sia il Partito Socialista di Nenni sia il Partito comunista di Togliatti non avevano infatti intenzione di incrinare i rapporti della coalizione di governo in un momento delicato come quello. In secondo luogo un certo peso indubbiamente lo ha avuto la riflessione di stampo opportunista, che dava grande speranza in una possibile vittoria elettorale della propria fazione al termine del periodo di transizione.

Il 2 Giugno, il referendum.

Il Governo de Gasperi fissò per il 2 giugno 1946 la data per il referendum, nel quale i cittadini italiani furono chiamati a scegliere se mantenere in vita l’istituto della Monarchia o instaurare una Repubblica. Dopo venticinque anni l’Italia tornò a votare, e per la prima volta il voto fu a suffragio universale, aprendosi perciò alla partecipazione femminile.

I Savoia negli anni precedenti avevano collezionato pesanti critiche, in primo luogo per la benevolenza verso Benito Mussolini a partire dagli anni 20 del ‘900, che culminarono con la profonda delusione generata dalla fuga del re tra le braccia alleate dopo lo sbarco in Sicilia.

Il 9 maggio, poco meno di un mese prima del referendum, Vittorio Emanuele III abdica in favore di Umberto II, nel tentativo di riabilitare l’immagine della casa Savoia, allontanandosi dal potere e affidando l’incarico al figlio, già luogotenente del Regno dal 1944. La mossa non ottenne però gli effetti sperati.

Mai nella storia italiana si vide un così grande afflusso, e mai forse lo rivedremo in futuro; il 90% degli aventi diritto al voto lo esercitò, e dai risultati prevalse con un netto scarto, la preferenza per la Repubblica.

Umberto II il 13 giugno lasciò l’Italia per iniziate il lungo esilio dei Savoia in Portogallo; non torneranno in Italia fino al 2002.

Il 2 Giugno, l’Assemblea Costituente

Assemblea Costituente

Balzato a minor onore della cronaca storica e della ricorrenza, il 2 Giugno è anche la data in cui si aprono le votazioni per l’elezione dell’Assemblea Costituente, con lo scopo di dare all’Italia una nuova Costituzione, che andasse a sostituire lo Statuto Albertino in vigore dal 1848.

L’Assemblea iniziò i lavori il 24 giugno 1946, e li concluse il 22 dicembre del 1947; il testo proposto fu adottato a larghissima maggioranza, ed entrò in vigore dal 1 Gennaio 1948.

la Costituzione Italiana dà vita ad un sistema di tipo parlamentare, con il governo (dall’incarico quinquennale) responsabile di fronte alle due Camere (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) entrambe elette a suffragio universale, alle quali è demandato il potere legislativo, oltre che la facoltà di eleggere il Capo dello Stato, dal mandato settenale.

Inoltre prevede l’esistenza di un Consiglio Superiore della Magistratura, garante dell’autonomia dell’ordine giudiziario (autonomia bollata come sorprendente e illecita da qualche politico attuale poco propenso allo studio e alla comprensione dei meccanismi del proprio Paese), e di una Corte Costituzionale che garantisse la conformità delle leggi ordinarie rispetto ai principi della Costituzione.

Inoltre, la vecchia struttura centralistica dello Stato viene spezzettata per un maggior controllo ed una maggior efficienza, decretando la nascita delle regioni.

Da sottolineare che molte norme, prime fra tutte quelle riguardanti il Csm, le regioni e i referendum abrogativi rimasero inattuate per molti anni a venire.

Nella storia è sempre importante contestualizzare un avvenimento, e la nascita della Costituzione Italiana non fa eccezione; arriviamo dal famoso “ventennio” e prerogativa dei padri costituenti era impostare un sistema statale il più possibile lontano dall’autoritarismo non solo fascista, ma da ogni possibile deriva in questa direzione. Per questo motivo la nostra Costituzione permette grandi spazi di agibilità e visibilità a tutte le forze politiche, principio che, come nel tempo abbiamo visto, comporta una minor stabilità del potere esecutivo; a questo proposito tali principi, uniti ad una legge elettorale proporzionale che resterà in vigore fino al 1993, metteranno alla luce alcuni problemi endemici del nostro Paese, uno fra tutti la frammentazione del potere che via via si concentra in una miriade di partiti minori, incapaci autonomamente di costruire una maggioranza solida e aprendo la strada ai grandi governi di coalizione (“inciucio” nel politichese corrente), con i problemi da essi derivanti, come vediamo ancora oggi.

L’elemento più dibattuto all’interno dell’Assemblea fu l’Articolo 7, con il quale i democristiani proponevano di stipulare rapporti diversi e privilegiati con la Santa Sede, mantenendo in vigore i Patti Lateranensi firmati da Mussolini nel 1929. Nonostante l’opposizione dei socialisti e dei partiti laici, decisivo fu l’appoggio del Partito Comunista; Togliatti infatti temeva una frattura in seno alla società italiana, che avrebbe altrimenti rischiato di doversi misurare con il proprio sentimento di appartenenza religiosa a discapito dell’appartenenza civica.

Ciò nonostante la Costituzione italiana rappresenta ancora oggi un compromesso estremamente equilibrato.