di Davide Chiodini

 

 

 

 

 

 

Uno degli autori di maggiore rilievo della stagione neorealista del cinema italiano. Tre Oscar vinti per il miglior film straniero (con Sciuscià nel 1948, Ladri di biciclette nel 1950 e Il giardino dei Finzi Contini nel 1970) è la figura ormai entrata nella leggenda.

Di chi stiamo parlando? Di Vittorio de Sica naturalmente, o per la precisione di Vittorio Domenico Stanislao Gaetano Sorano de Sica, del quale martedì 7 luglio ricorre l’anniversario della nascita, avvenuta a Sora (in provincia di Frosinone) nel 1901, anche se per tutta la vita si è sempre sentito più napoletano, tanto che nella città partenopea gli è stata dedicata una statua.

Appena tredicenne si trasferisce con la famiglia a Napoli e già due anni dopo inizia a debuttare come attore dilettante in alcuni spettacoli organizzati per i militari ricoverati negli ospedali. E’ il periodo della Grande Guerra, durante il quale, ottenuto il diploma di ragioneria, si fa strada nel mondo del teatro prima nella compagnia di Tatiana Pavlova e poi in quella di Italia Almirante, celebre diva del muto, passando dal ruolo di secondo attore fino ad arrivare a quello di primo attore al

Vittorio de Sica e Umberto Melnati

termine di queste esperienze, sul finire degli anni Venti del Novecento. Si tratta sempre di ruoli comico-brillanti e proprio questo aspetto viene notato da un regista come Mario Mattoli, il quale lo scrittura immediatamente e al fianco di Umberto Melnati avrebbe formato un duo comico dalle gag e dai tormentoni irresistibili, tanto da divenire una coppia comica di rilievo a livello nazionale. Nel secondo dopoguerra porta in scena anche spettacoli dal forte valore drammatico, come ad esempio, solo per citarne alcuni, Ma non è una cosa seria di Luigi Pirandello, Il matrimonio di Figaro di Beaumarchais, fino al 1949, anno dell’ultima stagione che lo vede calcare i palcoscenici teatrali. Successivamente porterà avanti la carriera come attore cinematografico e soprattutto come regista.

Anche dietro la macchina da presa non passa inosservato grazie ad opere che si fanno notare per lo stile piacevole del racconto, rimanendo in linea con gli stilemi della commedia all’italiana più collaudata. Con il film I bambini ci guardano del 1944 inizia la collaborazione con lo scrittore e sceneggiatore Cesare Zavattini, segnata da profonda amicizia e stima, che continuerà per tutta la sua carriera.

Scena tratta dal film “Ladri di Biciclette” (1948)

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e l’affermarsi del genere neorealista anche a livello cinematografico, si assiste ad un cambio di rotta verso la rappresentazione degli aspetti più amari e drammatici della società italiana dell’epoca, descritti in modo vigoroso e con uno stile essenziale, riportando ambienti e personaggi alla loro dimensione reale e concreta. In Ladri di biciclette, con il quale vince il suo secondo Oscar, si fa ancora più spazio l’aspetto sociale, in questo caso la denuncia della precaria condizione esistenziale (al protagonista viene rubata la bicicletta, indispensabile per il lavoro di attacchino comunale e dopo inutili ricerche per ritrovarla,  si sente spinto a rubarne una, sebbene il maldestro tentativo non riesca e solo le strazianti lacrime del figlio lo salvano dal carcere).

L’adesione al reale raggiunge il culmine nel film Umberto D., sentito omaggio al padre Umberto e nel quale la solitudine del protagonista e lo stato di abbandono in cui versa rappresentano l’esemplificazione più evidente di quell’asprezza insita nella condizione umana già comparsa nelle produzioni precedenti.

Sophia Loren in una scena tratta dal film “La Ciociara” (1960)

Un’altra pellicola di successo di cui è regista e nella quale è descritta in maniera schietta la cruda realtà durante la guerra, la difficile sopravvivenza degli individui più deboli e fragili, è La ciociara, tratta dal romanzo omonimo di Alberto Moravia e che ha consacrato Sophia Loren a diva e l’ha lanciata nell’olimpo delle star, permettendole con questo ruolo di vincere un Oscar alla miglior attrice protagonista.

Il tema della guerra con le nefaste conseguenze che porta con sé viene ripreso anche nell’ultimo film prima della scomparsa, avvenuta nel 1971, ossia Il giardino dei Finzi Contini, nel quale attraverso le vicende di una ricca famiglia di origine ebraica, appartenente all’ambiente della borghesia di Ferrara, si fornisce una rappresentazione delle persecuzioni di cui furono oggetto gli Ebrei, iniziate in Italia a partire dal 1938. Anche in questo caso si tratta della trasposizione per il cinema di un noto romanzo, dello scrittore Giorgio Bassani, il quale ha partecipato alla stesura dei dialoghi e della sceneggiatura.

Tutto questo discorrere porta a riconoscere la grandezza dell’artista, la cui vita intensa, ricca di emozioni, incontri, collaborazioni, è stata segnata in particolare da una costante: l’amore per l’arte, manifestato in molteplici espressioni, dal teatro al cinema ad esempio, la quale lo ha ricompensato di tanta devozione legando il suo nome alla storia non solo del filone neorealista ma di tutto il cinema italiano.