di Davide Chiodini

 

 

 

 

 

 

 

Un anno da dimenticare! Un altro duro colpo ha scosso il mondo dello spettacolo: dopo la scomparsa in estate di Franca Valeri, ci ha purtroppo lasciati troppo presto anche lui, Gigi Proietti, che per un destino beffardo è arrivato ad un soffio dal traguardo delle ottanta candeline, venendo a mancare proprio oggi lunedì 2 novembre, nel giorno del suo compleanno, così come si conviene ai grandi personaggi che, anche nella morte, scelgono di uscire di scena in modo non tradizionale: in lui vita e morte unite circolarmente nel medesimo istante.

Chissà se, anche adesso che non può più magnificare il pubblico con quella sua arte sopraffina che è stata il sale della sua esistenza di artista, continuerà comunque a mantenere il sorriso che l’ha sempre contraddistinto e probabilmente non lo abbandonerà mai.

Istrionico, poliedrico, un vero e proprio uomo di spettacolo, versatile e completo, con una carriera da fuoriclasse: tutto questo era Gigi (al secolo Luigi) Proietti, nato a Roma il 2 novembre del 1940.

Raccontare la sua lunga carriera artistica significherebbe dover riempire d’inchiostro le pagine di un libro, in quanto è stato attivo in ogni campo dell’arte: attore teatrale, cinematografico, volto televisivo, regista, doppiatore e persino insegnante.

Appassionato di musica fin da bambino, capace di suonare chitarra, pianoforte, fisarmonica e contrabbasso, inizialmente ha mosso i primi passi nell’ambito della canzone, suonando nei night club di Roma per mantenersi agli studi e non aveva in mente da subito il teatro; la passione per la musica farà sempre parte del suo Dna artistico, tanto che nel 1995 ha partecipato a Sanremo con il Trio Melody, presentando un brano dal sapore jazz, Ma che ne sai (se non hai fatto il pianobar), con il quale ricordare nostalgicamente i suoi esordi nei locali romani.

Sarà a partire dagli anni 60’ che, grazie a Giancarlo Cobelli, suo insegnante di mimica al corso del Centro Universitario Teatrale, farà l’esordio sul palco, attraverso lo spettacolo d’avanguardia Can Can degli italiani, per poi divenire molto attivo e consacrarsi come uno dei maggiori esponenti del teatro italiano.

Il successo arriva nel 1970, quando sostituisce Domenico Modugno nel fortunato spettacolo di Garinei e Giovannini Alleluia brava gente, facendo emergere, come un marchio di fabbrica, la sua qualità artistica di intrattenitore, padrone del palcoscenico, una dote innata e che verrà consolidata grazie all’immancabile impegno e dedizione. Il successo prosegue e, mediante la collaborazione con lo scrittore Roberto Lerici, il 1976 diventa l’anno dell’evento che segna il punto di svolta nella sua carriera: lo spettacolo A me gli occhi, please, con il quale ha rivoluzionato il modo di fare teatro, alternando commedia e dramma, in un tendone, imponendosi come il primo one man show italiano. Lo spettacolo ha avuto un’eco straordinaria, venendo replicato in numerosi teatri italiani e segnando un vero e proprio record di spettatori, con ben oltre cinquecentomila presenze al Teatro Olimpico di Roma. Un bagno di folla per Gigi, la quale inizia ad osannarlo come quel grande mattatore che è sempre stato, rivelando un talento unico, che emergeva anche quando si metteva semplicemente a raccontare barzellette, o ad improvvisare sketch comici nei programmi televisivi.

Il teatro lo vede impegnato altresì come insegnante, per mettere al servizio di giovani e promettenti futuri attori le sue doti artistiche: nel 1978 infatti assume la direzione artistica del Teatro Brancaccio di Roma, creando un suo Laboratorio di Esercitazioni Sceniche, fucina di tanti talenti e dalla quale usciranno nomi poi divenuti in seguito celebri nel mondo dello spettacolo come ad esempio Flavio Insinna, Gabriele Cirilli, Enrico Brignano, per citarne solo alcuni.

Sebbene il cinema non gli abbia regalato i risultati sperati, come invece è accaduto con il teatro, tuttavia è riuscito a non passare inosservato neppure qui: indimenticabile il personaggio di Bruno Fioretti, per gli amici Mandrake, nel film divenuto con il passare degli anni un fenomeno di costume e simbolo della commedia all’italiana, Febbre da cavallo, per la regia di Steno.

Benché il cinema non gli sia stato tanto favorevole quanto invece avrebbe meritato, tuttavia è stato proprio il piccolo schermo a renderlo altrettanto noto alla gente: Il maresciallo Rocca, fiction targata Rai e di grande successo negli anni Novanta, è uno dei personaggi più indimenticabili e affezionati a cui ha prestato volto, anima e cuore, tratteggiando il complesso ritratto di un uomo di giustizia, perennemente diviso tra i doveri della divisa e gli affetti privati.

Gigi Proietti, nella sua lunga carriera, ha saputo farsi strada e destreggiarsi sapientemente nel mondo dello spettacolo con l’arguzia, l’ironia, la capacità di osservare la realtà e, in maniera molto umana, di restituirla sulla scena.

Il suo talento unico, la parlata in romanesco verace e al tempo stesso sagace, l’espressività facciale, il sorriso ironico e beffardo resteranno per sempre scolpiti nell’immaginario collettivo e saranno difficili da ritrovare, anche se l’augurio è che in futuro si possano rinvenire nuove leve capaci di intrattenere in modo intelligente, non volgare e sofisticato come solo lui era in grado di fare.

Ora saranno gli angeli a godere del suo enorme talento, perché anche da lassù continuerà ad essere il mattatore e l’artista che è sempre stato quaggiù.