di Matteo Cassani

 

 

 

 

 

 

Claude Debussy è sicuramente uno dei più importanti ed incisivi compositori che a cavallo tra ‘800 e ‘900 sperimentano e arricchiscono gli spazi espressivi della “nuova musica”. Il suo stile e la sua stessa concezione della musica sembrano accostarlo alla corrente pittorica dell’impressionismo, seppure il compositore stesso ha sempre rifiutato questa definizione. 

 

Che Debussy (1862 – 1918) fosse qualcosa di completamente innovativo all’orecchio lo cogliamo bene ancora oggi dopo più di un secolo dalla sua scomparsa; influenzato dall’avanguardismo francese (Satie e Ravel in primis), grande ammiratore della musica di Wagner (1813 – 1883), estremamente attratto dalle armonie non convenzionali dei compositori russi (Musorgskji fra tutti), affascinato dalla musica orientale, ma anche attento studioso della musica medievale e del canto gregoriano, nonché intimo amico di Mallarmé (1842 – 1898) e vicino al simbolismo francese, Debussy è un autore estremamente complesso da etichettare; non che altri autori non lo siano, anzi inserire questo o quest’altro in rigidi schemi storico-culturali è sempre una forzatura che appaga la nostra mente razionale ma poco risponde ad una visione d’insieme. Se è vero sempre, lo è ancora di più nei confronti di Debussy. 

 

La musica come impressione

La vicinanza agli ambienti simbolisti, e la sua personale concezione della composizione, porteranno gli storici a coniare

Monet_-Impression, Sunrise

per lui la definizione di impressionismo musicale; definizione alla quale lui non sentiva di appartenere, così come non riteneva il suo lavoro permeato di simbolismo francese, anche se a ben guardare, molto ha in comune con entrambi. 

In primo luogo l’idea che la musica, così come la poesia per Mallarmé, non debba trasmettere immagini nitide, concrete, tangibili, bensì debba aspirare ad essere allusione ad immagini che già appartengono alla mente del lettore/ascoltatore. La musica non è quindi espressiva, descrittiva, ma assume i contorni di evocazione. Così come l’arte dei pittori impressionisti, essa evoca immagini sfocate, non definite, sfumature, che assumono forma solo nella mente dell’ascoltatore, immergendolo in un contesto musicale dove l’ultima parola spetta alla psiche, che elabora fondendo udito, memoria, pulsioni e desideri. 

Non a caso le sue maggiori composizioni definite poi impressioniste, sono accompagnate da indicazioni ai margini, che non sono titoli, in quanto non attribuiscono significato al brano, sono soltanto delle indicazioni che forniscono un’atmosfera, delle linee guida affinché l’ascolto diventi a tutti gli effetti una vera e propria “esperienza psichica”; si veda per esempio raccolta dei Preludios, in particolare Voiles, le vent dans la plaine o des pas sur le neige

 

La sonorità

Una delle caratteristiche che rendono immediatamente riconoscibile un brano di Debussy è senza dubbio la sonorità. Debussy è stato un grande strumentista oltre che compositore (sua è l’orchestrazione di Gymnopedie di Erik Satie (1866 – 1925), per citare solo uno dei suoi grandi lavori); vedere lo strumento musicale non per quanto fa, ma per quanto può fare è la chiave di volta del compositore, affascinato dai registri estremi, nell’infinito tentativo di ottenere sonorità nuove, timbri “puri”, armonizzati tra loro all’interno di un panorama privo di ogni forzatura. La leggerezza è forse la particolarità più interessante del compositore francese, che raramente ricorre ai forte orchestrali e altrettanto raramente lavora ad orchestra piena, cedendo invece il passo a vari gruppetti di strumenti che si alternano tra loro, in un clima di soffice ambientazione, lasciando che le leggere pennellate sulla tela impressionista siano i soavi glissando, metro caratteristico anch’esso del suo lavoro. 

 

La tonalità sospesa

Dando voce ad un’esigenza compositiva che affiora sempre di più a cavallo del XX secolo, Debussy non da spazio alla risoluzione armonica, caposaldo del tradizionale sistema tonale che vuole invece la contrapposizione tra consonanze e dissonanze che risolvano, appunto appagando il nostro orecchio con un senso di “chiusura”, di conclusione. Si fa strada invece un’idea completamente diversa, l’esigenza di molti compositori che iniziano a sentire il peso limitante del sistema tonale, che non gli permette di esprimersi appieno; inizia in questo periodo la sperimentazione verso altre strade espressive, e in Debussy troviamo i primi e lampanti esempi di questa tendenza. Raramente infatti possiamo identificare una tonalità di riferimento nelle sue composizioni, e anche quando riusciamo a farlo ci accorgiamo ben presto dell’inconsistenza di tale osservazione; la musica in Debussy non è soggetta ai rigidi schemi del sistema tonale, è libera, “sospesa” appunto, spesso ricorrendo anche all’esclusione del III grado negli accordi, per dare maggiormente il senso di “extra-corporeità” dei suoni. 

 

Manoscritto di Debussy

Il discorso musicale in Debussy non è quindi delineato da regole “a priori”, bensì prosegue per singole immagini sonore, quasi dissociate tra loro, in un piano dove il tempo sembra sospeso. 

E’ una concezione musicale nuova, leggera, velata, ma comunque dirompente per la sua forza espressiva; la “musica moderna” per Debussy è proprio questo, e tale musica si sta svegliando, e il suo risveglio sarà, simbolicamente, nel pomeriggio del fauno. Questo preludio, che raggiunge i livelli più alti di espressività e di rara bellezza, è composto nel 1894 e inserisce definitivamente il compositore francese in uno dei posti più importanti della storia della musica contemporanea (Prelude à l’après-midi d’un faune)