di Matteo Cassani

 

 

 

 

 

L’opera si apre con il famoso diabolus in musica: il Tritono!  Dal punto di vista prettamente tecnico, si tratta di un intervallo di quarta aumentata o di quinta diminuita a seconda che lo consideriamo come quarta o quinta. La dissonanza creata da questo intervallo è estremamente affascinante e ricca di emotività. Inoltre questo intervallo è peculiare proprio per essere la metà esatta di una ottava, dando vita ad un fenomeno psicologico affascinante e complesso, che prende il nome di paradosso del Tritono

 I maggiori studi sull’argomento sono stati condotti dalla psicologa Diana Deutsch nel 1986, che ha osservato come la consequenziale emissione di note distanti tra loro di un tritono equivalente inneschi una ripetizione ciclica che inganna l’orecchio anche dei musicisti più esperti, in quanto non è percettibile comprendere se si tratta di una sequenza ascendente o discendente. Sta di fatto che il tritono è indubbiamente uno degli effetti più affascinanti della storia della musica, amato e odiato, osannato e disprezzato fin dal Medioevo. Puccini ne fa uno dei principali motivi, e lo lega indissolubilmente alla figura di Scarpia. Così si apre l’opera, e veniamo gettati in medias res all’interno della vicenda, senza preludi, senza anticipazioni.. solo un fortissimo orchestrale e la profonda dissonanza del tritono, che si espande dal si bemolle dei contrabbassi fino al mi acuto dell’ottavino. Il tritono è Scarpia , non solo quando il personaggio è in scena, ma serve da riferimento musicale, ogni volta che viene citato, ogni volta che il potente barone ha a che fare con qualcosa in scena, ecco che Puccini inserisce, a volte più marcatamente, altre volte più fievolmente, questo leitmotive

Subito dopo abbiamo l’ingresso di Angelotti, accompagnato da un ritmo sincopato e un tema discendente. Subito dopo, la scena della ricerca della chiave, accompagnata questa volta da un raffinatissimo accompagnamento cameristico, chiuso da un nuovo tritono. Già solo nell’incipit dell’opera rimaniamo folgorati da quello che è Giacomo Puccini: un compositore “a tutto tondo” capace di integrare tra loro elementi anche molto diversi, appartenenti a culture e concezioni in netta contrapposizione tra loro, e armonizzarli come se la coesistenza di questi fosse la cosa più naturale del mondo… e il tutto condito da una buona dose di ironia, che ricopre tutta l’opera con una sottile coltre di apparente convenzionalità. Puccini “usa” le strutture musicali a suo piacimento, le plasma, le inserisce in contesti diversi, e tutto ciò lo riesce a fare senza che l’ascoltatore riesca a capirlo fino in fondo, sorprendendolo e quasi prendendolo in giro.  

La prova che la musica pucciniana di Tosca sia tutt’altro che mero accompagnamento ci viene offerto poco dopo la scena iniziale: l’ingresso del sacrestano, del quale conosciamo poco o nulla, che in poche battute musicali ci viene descritto alla perfezione: una figura ipocrita e volgare, interessato più al suo paniere che all’arte. Ed è una meravigliosa futile marcetta in do maggiore a darci tutte le informazioni su questo personaggio; ci basta guardare la scena ed ascoltare, e automaticamente riusciamo a collocare la figura appena comparsa entro la giusta area semantica. Allo stesso modo l’orchestra non  lascia spazio a dubbi sulla figura dell’eroe: l’ingresso di Cavaradossi, con l’anticipazione del leitmotive amoroso in mi maggiore. Ma è proprio qui che avviene qualcosa di fantastico: il grande eroe romantico si lascia andare in uno dei pochi influssi lirici dell’opera, la Recondita Armonia, accompagnata e contrapposta ai borbottii del sacrista di sottofondo. Qui musicalmente sta accadendo qualcosa di straordinario: Puccini riesce a conciliare con una semplicità strabiliante il bisogno melomane del lirismo, spingendo il tenore fino al Si bemolle acuto, con il radicale flusso dell’azione declamata del sacrestano “scherza coi fanti e lascia stare i santi!”.  

L’ingresso di Tosca è un altro di quei momenti musicalmente strabilianti, perché dalla sola musica riceviamo tutti gli elementi per comprendere uno dei personaggi più complessi dell’opera. E’ un’eroina romantica da un lato, una viziata primadonna dall’altro, è gelosa, irritabile, intrattabile, porta con sé delle enormi contraddizioni e una profonda psicologia, che musicalmente ci investe con tutta la sua complessità, con un percorso armonico in continua evoluzione, dal La bemolle maggiore che modula in Do maggiore, per immettersi poi in un Re bemolle maggiore, passando al La maggiore, per tornare al Do, ed infine Mi maggiore.  

Questi continui cambi tonali sono emblema del carattere lunatico e instabile di Tosca, in netto riferimento a quella che è la psicologia, sicuramente più accentuata, di un personaggio decisamente più instabile: la Lucia di Lammermoore Donizettiana, della quale si intravede la vocalità. Ed infine, dopo il turbinio di emozioni contrastanti nel quale siamo musicalmente proiettati insieme a Tosca, si apre una romanza in 6/4, dove finalmente Tosca si calma e inizia un vero e proprio duetto d’amore, sul quale il tema musicale amoroso fa ovviamente da sfondo.  

Segue la partenza di Tosca e la ripresa del dialogo tra Cavaradossi e Angelotti, con i temi precedenti che fanno da sfondo. Da notare anche qui il tritono sul nome “Scarpia!”, che prosegue come un’imminente incombenza per tutto l’andante successivo. La musica ci fa vivere il dramma, ci inserisce nel contesto, ci fa sentire le paure, i pensieri, le preoccupazioni che vivono i personaggi.  

A questo punto Puccini ci ha preparato all’ingresso di Scarpia, con continui riferimenti musicali al tritono e a tutta quella carica emozionale che si porta dietro, e finalmente Scarpia fa il suo ingresso, con un tritono ancora nuovo, sul fortissimo orchestrale. Il passo successivo è il Te Deum, accompagnato dall’ossessiva  ripetizione del Si bemolle e del Fa delle campane tubolari.  

Il secondo Atto si apre con una nuova versione del tritono, successivamente fuori scena la festa a Palazzo Farnese; e cosa c’è di più tradizionale per una festa ottocentesca che una gavotta? Puccini la inserisce, dimostrando l’immensa capacità eclettica del suo genio compositivo, alla quale segue un’aria volgare sia nella musica che nel testo, nella quale Scarpia declama la sua filosofia morale.  

Ma l’interesse maggiore lo desta il passo successivo, quando Cavaradossi viene portato a cospetto del barone per l’interrogatorio: un motivo musicale apposito, in Mi minore, suonato in ottava bassa da un flauto, e la contrapposizione del tema in La minore fuori scena crea un effetto straniante dal dirompente coinvolgimento.  

Altro passo degno di nota è l’enorme crescendo emozionale, che porta al cedimento di Tosca, scolvolta dalle torture su Mario, che infine accetta il ricatto di Scarpia; la salita cromatica e l’insistenza sul Re grave dei contrabbassi creano un effetto dirompente e portano lo spettatore, così come Tosca, a sentire l’immenso bisogno di liberarsi dall’enorme tensione musicalmente creata, che si risolve appunto in una musica espressiva e liberatoria, seguita dal trionfo di Scarpia, con una discesa per toni interi, quasi un’espansione del tritono armonico, riferimento musicale all’avanguardia novecentesca.  

Ma questa apertura al ‘900 è subito controbilanciata, perché alla notizia della vittoria di Napoleone, l’orchestra intona un concertato in Re maggiore in perfetto stile verdiano. Questo è l’eclettismo di Puccini, capace di conciliare insieme elementi musicali tanto diversi tra loro, e farlo con una semplicità e una naturalezza straordinaria.  

Non possiamo in questo contesto non citare la successiva aria di Tosca; come abbiamo detto una delle pochissime arie dell’opera, ma dal profondissimo impatto emotivo: “Vissi d’arte”, malinconico e pregnante addio alla vita. Ma Tosca non si lascia mettere i piedi in testa, e colta dalla furia omicida, uccide Scarpia e accompagnata da una meravigliosa marcia funebre pone intorno al corpo del defunto delle candele. Qui abbiamo l’ultima versione del tritono armonico; drammaturgicamente interessante questa comparsa, perché finora Scarpia era in vita e la sua presenza incombente.. per quale motivo ora che è morto ricompare questo tema? E’ una straordinaria anticipazione, perché seppure Scarpia è morto, il suo potere e le sue azioni continueranno a tormentare Tosca.  

Il terzo Atto si apre con un unisono degli ottoni che richiamano la scena precedente, per poi spostare l’attenzione con una musica pastorale, quasi bucolica, che Puccini modella sulle note di una musica pseudopopolare, in realtà originale dell’autore. Significativa, in quanto assolutamente insolita, è la chiusura di questa scena, con gli archi che intonano in Mi minore il tema di Cavaradossi “oh dolci baci”, inconsuetudine assoluta, a maggior ragione in quanto legata ad un tema così importante, che però ha un’enorme effetto drammatico ed emotivo. Successivamente la grande aria di Cavaradossi “e lucevan le stelle”, con questo straordinario parallelismo tra la psiche del personaggio e il timbro puro del clarinetto solo, anche qui stretto legame con Lucia di Lammermoore (Donizetti). Un crescendo emotivo enorme, mantenuto in Si minore, che culmina sul La minore.  

Degna di nota è anche la scena della fucilazione: Tosca e Cavaradossi sono convinti della falsa uccisione, inconsapevoli del tradimento di Scarpia, ma l’ascoltatore è messo in guardia, perché l’orchestra svela fin da subito la verità, richiamando il tema della tortura del secondo atto.  

L’opera si chiude con uno struggente duetto d’amore, che Puccini, come per ulteriore sbeffo, mantiene in Sol bemolle maggiore, la stessa tonalità dei duetti e dell’aria di Scarpia nel secondo atto, come a sancire un’incatenazione fatale e inevitabile tra gli amanti e il loro nemico.  

Ma Puccini non può terminare tutto con un duetto d’amore, in modo così convenzionale: il duetto infatti termina su un accordo sospeso, lasciando il finale aperto, con l’orchestra in pianissimo. Straordinaria chiusura per un compositore eclettico come Puccini, che prosegue con una chiusura nichilista, quasi a presupporre che il finale aperto del duetto in realtà si risolva in nulla, distruggendo tutte le speranze appena nate, senza possibilità di salvezza, senza alcuna speranza.