di Davide Chiodini

 

 

 

 

 

Forse non esiste un ambiente più affascinante e al tempo stesso ambiguo come quello del cinema. Le immagini dello star system, oggi più che mai diffuse anche grazie ai social e alla rete, ci trasmettono la sensazione di un universo altro rispetto a quello in cui vivono le persone “normali”; le facce degli attori, a parte qualche rara eccezione, tirate a lucido per merito del bisturi, abiti sfavillanti, la partecipazione a eventi mondani. Tutto ciò porterebbe a pensare che la vita dell’attore sia invidiabile, ad esempio come quella del calciatore e sempre sotto i riflettori, anche se alle luci fanno da contraltare le ombre, che non sono poche.

Già nel lontano 1950, un film poi divenuto capolavoro e osannato dalla critica come Viale del tramonto, del grande regista Billy Wilder, attraverso la figura dell’ex diva del cinema muto, interpretata da Gloria Swanson, alla costante ricerca di un ritorno alla celebrità, mostrava quanto crudele e spietato potesse essere quel mondo, fatto di lustrini e paillettes, verso chi veniva ritenuto ormai superato e quindi non più utile, in quanto appunto sul “viale del tramonto”.

In tempi più recenti, ci pensa una miniserie televisiva, in onda sul canale Netflix, a riportare l’attenzione sulla settima arte; non a caso il titolo è semplicemente Hollywood, ma vi è racchiuso il senso più profondo del messaggio che lo sceneggiato vuole trasmettere al suo pubblico. Ad essere il vero protagonista infatti è proprio il bel mondo di Hollywood, nel quale, in particolare nell’America del Secondo Dopoguerra, molti giovani ragazzi e ragazze di belle speranze vedevano una strada da percorrere per arrivare al successo, non solo assicurandosi un lavoro, ma riuscendo anche ad inserirsi in una rete di relazioni con registi, produttori, sceneggiatori, in grado di garantire loro un sicuro avvenire.

La strada del successo è però ardua e costellata di molte prove, imprevisti, duri sacrifici, non solo professionali. Infatti oltre alle estenuanti ore d’attesa davanti ai cancelli degli studios cinematografici, per un ruolo da comparsa a 10 dollari al giorno, chi ce la faceva e riusciva ad entrare in quel mondo di cui tanto desiderava far parte, era tenuto anche a continui compromessi, a scelte non sempre consapevoli e a lasciarsi guidare da produttori senza scrupoli, i quali come pigmalioni tendevano a sfruttare a proprio favore le fragilità e insicurezze di chi si affidava loro.

La miniserie mostra inoltre come nemmeno il cinema fosse stato in grado di superare certe barriere sociali, pregiudizi, i quali portavano uno sceneggiatore di colore a non potersi accreditare per un film, sebbene avesse del talento, oppure le donne afroamericane e asiatiche a recitare in ruoli sempre stereotipati, dai quali, anche volendo, non potevano distaccarsi, dato che era impedito loro. infatti l’attrice asiatica doveva interpretare sempre la donna asiatica, mentre quella di colore la domestica, come avvenne per Hattie Mc Daniel, prima attrice afroamericana a vincere un Oscar nel 1940 per il ruolo di Mami, la domestica della volitiva e viziata Rossella O’ Hara in Via Col Vento (1939). Nonostante la vittoria e la precedente nomination, non poté sedere durante la premiazione assieme agli altri attori. In seguito recitò in altri 300 film, ma sempre nel ruolo di domestica.

I personaggi principali della miniserie, un aspirante attore, un aspirante sceneggiatore e un aspirante regista, entrano in punta di piedi nel bel mondo patinato della Hollywood dei tempi d’oro, si sottopongono a pressioni psicologiche, fisiche, accettano anche umiliazioni e vessazioni, il tutto per cercare di sfondare e diventare famosi, con la speranza di poter “riscrivere le regole di Hollywood”, per fare la differenza non solo come singoli, ma anche per contribuire a rendere la società più giusta ed equa attraverso il loro servizio nel mondo del cinema.

Come il teatro riflette su se stesso, così lo fa anche il cinema: ne esce in parte un ritratto impietoso di un mondo dove spesso l’apparenza conta più della sostanza, ma al tempo stesso affascinante, poiché in grado di elevare a concretezza sogni, desideri e passioni che caratterizzano il genere umano.

Il cinema si nutre di sogni, talvolta però li divora.