di Davide Chiodini

 

 

 

Ancora una volta, nonostante il Covid che ha stravolto il viver quotidiano e le tradizioni, anche quest’anno si è potuto dire “l’Epifania tutte le feste le porta via”, in quanto rappresenta il termine ultimo delle consuete festività natalizie, augurandosi magari che oltre alle festività possa portarsi via anche altro di meno piacevole.

A differenza dei periodi passati non si è potuto quest’anno attendere l’arrivo, in carne ed ossa e rigorosamente sulla scopa, della vecchina che non dimentica mai di portare calze piene di dolci ai bambini, carbone per i più grandi un po’ birboni e ancora un po’ d’aria di festa nelle piazze di paesi e città, prima di riprendere con gli impegni vari.

Quest’anno la Befana non si è mostrata; questa è un’altra storia, fatta di mascherine e distanziamento, restrizioni e numeri chiusi.

Invece l’Epifania ha potuto mostrarsi ancora una volta, senza bisogno di essere accompagnata da alcuna autocertificazione.

Che cosa si conosce riguardo ad essa? Innanzitutto è un’antica e sentita festa cristiana, collegata al Natale, dal quale la separano poco meno di una quindicina di giorni.

Il termine viene dal greco, come molte parole della lingua italiana, in particolare da un verbo, ἐπιφαίνω, che significa “apparire, manifestarsi” ed assume qui un particolare valore teologico, in quanto si tratta della manifestazione divina di Dio tramite Gesù. Dio quindi si mostra attraverso suo Figlio agli occhi dell’umanità, rappresentata da coloro che hanno potuto vedere direttamente il bambino appena nato. Tra questi fortunati ci sono anche i Re Magi, o semplicemente Magi, come li chiama il Vangelo di Matteo, fonte privilegiata e unica per raccontare l’episodio dell’adorazione che si collega alla manifestazione divina.

E’ interessante notare come un solo evangelista, ossia Matteo, si soffermi sull’episodio e, per giunta, senza dilungarsi neanche troppo nel fornire una descrizione particolareggiata dei soggetti: «1 Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: 2 «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo». 3 All’udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. 5 Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: 6 «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo, Israele».7 Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire con esattezza da loro il tempo in cui era apparsa la stella 8 e li inviò a Betlemme esortandoli: «Andate e informatevi accuratamente del bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo». 9 Udite le parole del re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10 Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. 11 Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12 Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese».

In dodici versetti si parla solo di Magi venuti da Oriente (ma è naturalmente un’indicazione generica che indica ciò che sta ad est di Gerusalemme, non si conosce in realtà l’esatta provenienza), che hanno visto una stella e si sono messi in cammino. Nemmeno si conoscono i nomi, sebbene una leggenda armena glieli abbia forniti: Gaspare, Melchiorre e Baldassarre. Non è specificato nemmeno il loro numero, anche se tuttavia, prendendo per valido il fatto che i doni fossero tre, si potrebbe giustamente supporre che anche i donatori fossero in numero eguale.

Quello di cui il Vangelo parla con chiarezza riguarda la tipologia dei doni portati (oro, incenso e mirra), che non a caso presentano un chiaro significato dal sapore teologico: la mirra, unguento profumato usato anticamente per cospargere il corpo del defunto, allude alla Passione di Cristo, l’oro alla regalità, in quanto regalo degno di un re e l’incenso, con il fumo che sale verso il cielo, alla divinità di Gesù.

Può darsi che l’Evangelista non conoscesse i loro nomi e nemmeno la provenienza, ma si può immaginare che ci possa anche essere una scelta non casuale nel lasciarli anonimi: non avendo un’identità precisa, le loro figure assumono  un valore universale, rappresentando tutti e non solo una determinata categoria di persone.

Forse erano studiosi degli astri, o semplicemente uomini in cammino alla ricerca di qualcosa, o qualcuno. Sappiamo però che la parola magio, di origine persiana, ha a che fare con la sapienza.

Hanno visto, si sono messi in viaggio, hanno trovato quel che cercavano e così hanno fatto ritorno a casa. Un po’ quello che può capitare ad ognuno nella vita.