Matteo Cassani, che cura la regia di Judas – Opera Rock, racconta l’adattamento scenico di questa produzione teatrale degli Operandisti Moderni

Quando abbiamo iniziato a lavorare a questa nuova sceneggiatura, volevamo dare una piega originale, più “storica”, cercando di porre una maggiore attenzione sulle complesse vicende  ed ideologie del primo cristianesimo, senza che la scena fosse contaminata da elementi appartenenti  ad altro tipo di filosofia e con altro tipo di intento. L’idea fondante dietro questa sceneggiatura non è l’ardire di fornire risposte definitive, interpretazioni assolute, punti di vista inconfutabili, bensì  proprio il contrario: porre domande, intavolare controversie, sottolineare contraddizioni, senza mai  poter concludere, senza dare all’ascoltatore quel senso di completezza che solo una tesi  inconfutabile può dare.  

Il ruolo del teatro, anche di quello locale, è quello di spingere a riflettere, non quello di  dare risposte; deve instaurare nell’ascoltatore il seme del dubbio, accendere la scintilla che porta  alla riflessione vera, sincera. Questo spettacolo si pone il compito di spingere a riflettere su uno  degli argomenti più importanti e determinanti anche nella nostra quotidianità: la religiosità e il  nostro rapporto con lei. 

Le vicende ruotano intorno a Gesù (interpretato da Matteo Cassani), Giuda (interpretato da Liliana  Sommariva) e Maria Maddalena (interpretata da Alice Neotti), i veri tre protagonisti dell’opera. E rispetto alla  versione originale, abbiamo voluto invece focalizzare  l’attenzione non su Gesù, bensì sulla figura di Giuda.  La capacità straordinaria dello spettacolo è quella di poter  rendere, in modo diretto e quasi naturale, l’immensità dei  punti di vista di ognuno: infatti ogni personaggio avrà il  proprio modo di vedere le cose, il proprio approccio e, nei  confronti di Gesù Cristo avverrà proprio quello che avviene  all’interno delle prime comunità cristiane: ognuno vede  quello che vorrebbe vedere, una sorta di specchio delle  proprie aspettative.  

Gli Apostoli cercano una guida che li possa condurre ad una  riabilitazione sociale, ad un futuro migliore, gli Zeloti, guidati  da Simone (interpretato da Alice Plebani), vedono un idolo  che li potrà condurre alla guerra contro Roma per la  liberazione della Palestina, Maria Maddalena vede un uomo di  cui si innamora follemente, i sacerdoti (interpretati da Laura  Abbati ed Andrew Stratton) vedono un pericolo per lo status-quo, che potrebbe irritare i romani. Entriamo in un circolo vizioso quasi pirandelliano, dove all’interno di questo continuo gioco di  specchi, avremo così tanti Gesù che non riusciremo a capire veramente fino in fondo questo  personaggio, tanto da avere uno, nessuno e centomila Gesù. 

A complicare ancora di più le cose, è lo stesso personaggio di Jesus: è nello spettacolo una figura imperscrutabile, impossibile da capire fino in fondo,  che crea anche un certo distacco emotivo a causa dei suoi continui sbalzi di umore, cambi repentini  di idea, momenti di forti dubbi bilanciati da altri di estrema lucidità e forza; insomma, un  protagonista molto strano, che però riflette pienamente l’ambiguità letteraria sul suo conto. Più ci  sforziamo di capire chi sia veramente e cosa pensi, più continuerà a sfuggirci.