Judas – Opera Rock è l’ultima produzione della compagnia teatrale Operandisti Moderni, con regia di Matteo Cassani e arrangiamenti musicali di Roberto Cioffi.

L’intento dello spettacolo è invitare lo spettatore a porre una maggiore attenzione sulle complesse vicende ed ideologie del primo cristianesimo, L’idea fondante dietro questa sceneggiatura non è l’ardire di fornire risposte definitive, interpretazioni assolute, punti di vista inconfutabili, bensì proprio il contrario: porre domande, intavolare controversie, sottolineare contraddizioni, senza mai poterle concludere, senza dare all’ascoltatore quel senso di completezza che solo una tesi inconfutabile può dare. 

Il ruolo del teatro, anche di quello in ambito locale, è quello di spingere a riflettere, non quello di dare risposte; deve instaurare nell’ascoltatore il seme del dubbio, accendere la scintilla che porta alla riflessione vera, sincera. Questo spettacolo si pone il compito di spingere a riflettere su uno degli argomenti più importanti e determinanti anche nella nostra quotidianità: la religiosità e il nostro rapporto con lei.

Le vicende ruotano intorno a Gesù (interpretato da Matteo Cassani), Giuda (interpretato da Liliana Sommariva) e Maria Maddalena (interpretata da Alice Neotti), i veri tre protagonisti dell’opera. E abbiamo voluto focalizzare l’attenzione non su Gesù, bensì sulla figura di Giuda.

La capacità straordinaria dello spettacolo è quella di poter rendere, in modo diretto e quasi naturale, l’immensità dei punti di vista di ognuno: infatti ogni personaggio avrà il proprio modo di vedere le cose, il proprio approccio e, nei confronti di Gesù Cristo avverrà proprio quello che avviene all’interno delle prime comunità cristiane: ognuno vede quello che vorrebbe vedere, una sorta di specchio delle proprie aspettative.

Gli Apostoli cercano una guida che li possa condurre ad una riabilitazione sociale, ad un futuro migliore, gli Zeloti, guidati da Simone (interpretato da Alice Plebani), vedono un idolo che li potrà condurre alla guerra contro Roma per la liberazione della Palestina, Maria Maddalena vede un uomo di cui si innamora follemente, i sacerdoti (interpretati da Laura Abbati ed Andrew Stratton) vedono un pericolo per lo status-quo, che potrebbe irritare i romani.

Entriamo in un circolo vizioso quasi pirandelliano, dove all’interno di questo continuo gioco di specchi, avremo così tanti Gesù che non riusciremo a capire veramente fino in fondo questo personaggio, tanto da avere uno, nessuno e centomila Gesù.

A complicare ancora di più le cose, è lo stesso personaggio di Jesus: rendere “oggettivamente” questa figura, con caratteristiche storiche e assolute abbiamo già detto quanto impossibile sia, tant’è che lo spettacolo ce lo presenta come una figura imperscrutabile, impossibile da capire fino in fondo, che crea anche un certo distacco emotivo a causa dei suoi continui sbalzi di umore, cambi repentini di idea, momenti di forti dubbi bilanciati da altri di estrema lucidità e forza; insomma, un protagonista molto strano, che però riflette pienamente l’ambiguità letteraria sul suo conto. Più ci sforziamo di capire chi sia veramente e cosa pensi, più continuerà a sfuggirci.

Il vero protagonista dello spettacolo è, come si evince dal titolo, Giuda, o Judas. L’idea di trasformare una figura tradizionalmente maschile in una femminile è una trovata dettata da motivi contingenti del cast degli Operandisti Moderni, ma particolarmente interessante e originale, oltre che di attualità straordinaria. Infatti, i due personaggi principali femminili, Maria Maddalena e Giuda, aprono la riflessione verso il ruolo della donna nella società, quasi emblema del femminismo, e rivendicano un ruolo che nel cristianesimo delle origini forse non hanno mai avuto, schiacciate dalla misoginia sociale, o forse hanno avuto, guidate da un “leader” anticonvenzionale come Gesù, ma del quale sono rimaste pochissime tracce nella tradizione e nella letteratura. È anche spunto di una profonda riflessione sull’attualità, sul ruolo della donna nella società attuale, nella Chiesa e nei confronti della religione, intesa in senso più ampio e maggiormente privo di barriere e confini; la misoginia è una componente che ci arriva diretta dal passato, dalla culla della nostra civiltà, dal mondo classico, e permane trasversalmente ancora oggi in molti ambienti; è una costante nelle maggiori religioni al mondo, così come è una costante nei luoghi lavorativi, nella politica locale e nazionale, nella quotidianità. Secoli di lotta hanno portato ad una riabilitazione della donna, facendole raggiungere una parità di genere in molti Paesi (parità formale, più difficile raggiungere la sostanzialità), ma è un percorso non ancora concluso.

Anzi, la riflessione spinge verso una consapevolezza, sulla quale è importante più che mai riflettere nell’oggi e per il domani: la parità di genere non è l’obiettivo, ma un gradino di passaggio necessario. Dal punto di vista sociale rendere una donna pari ad un uomo è un traguardo che è costato fatica e lotte, ma mai potrà essere specchio di una “giustizia sociale”. Finché la donna non avrà un proprio status giuridico, che la differenzi anche dall’uomo, perché le diversità sono palesi e di natura lavorativa al pari di quella biologica. Molto è stato fatto in questa direzione dai paesi maggiormente “sviluppati”, ma molto va ancora fatto in questa direzione.

Introdurre due donne in un contesto così importante come l’alba del cristianesimo,  e rendere queste figure così determinanti è forse un riconoscimento doveroso e importante, oltre che uno spunto di riflessione trasversale.

Giuda è un personaggio complesso, insicuro, alla ricerca della verità e della cosa giusta da fare; Gesù, secondo lei, si è montato la testa, ha abbandonato le idee per cui era nato il gruppo degli Apostoli, in favore di una concezione più astratta, che però inizia a infastidire sacerdoti e romani. Giuda ha paura, non riesce più a comprenderlo ma, contemporaneamente non riesce a distaccarsene, non riesce ad abbandonarlo, perché legata a lui da vecchi patti ideologici, da una condivisione di idee e obiettivi che nell’oggi non riesce più a trovare e, perché no, anche da un profondo legame affettivo che sconfina nella palese gelosia per la vicinanza tra Gesù e Maria Maddalena.

Emblematici ed interessantissimi sono alcuni magici versi, punto di vista sposato in parte dalla resa scenica e dalla sottotrama dello spettacolo, di Roberto Vecchioni, che dedica al personaggio di Giuda nell’omonima canzone:

“Che bello avere i tuoi trentatré anni

E accarezzare il capo di Giovanni

E dire a Pietro: “Queste son le chiavi

E ti perdono il monte degli Ulivi”.

Manca soltanto lui e ben gli sta

Come ci insegnano si impiccherà;

Ma il primo a uccidersi

Per farti re

stato quello che non salverai!

E ti serviva un uomo da usare e gettar via

Appeso ai nostri buoni “Così sia”.

Dal canto suo, Maria Maddalena è una donna sicura di sé, follemente innamorata di un personaggio complesso e imperscrutabile, che prima le permette di avvicinarsi, poi le fa strani discorsi sull’aldilà e sul suo ruolo nel mondo; inizialmente è lei stessa turbata da questo sentimento, ma poi comprende che ciò che sente va vissuto nell’oggi, senza pensare al domani, approfittando di ogni momento per restare in presenza del suo amato, in un amore che la strappa dalla realtà tanto da non farle comprendere nulla di ciò che sta accadendo finché non sarà troppo tardi per tornare indietro.

Ovviamente non è uno spettacolo di soli contenuti anzi, la scena vorrà la sua parte: grandi effetti luce, grandi coreografie, grandi scene saranno un elemento importante e spesso determinante. Il nostro corpo di ballo con grande impegno studia nei minimi dettagli le difficili coreografie, che spesso necessitano di un sincronismo quasi perfetto con la musica, creando un legame profondo tra la scena e i brani, come se fossero un tutt’uno. E qui si presenta un altro straordinario elemento di questo spettacolo: l’ambiguità di fondo sulle tematiche, dettata da una complessa e contraddittoria letteratura, crea un instabile sostegno a tutto lo spettacolo, e il compositore rende l’idea di questa instabilità di fondo alternando continuamente tempi differenti, da semplici a composti, 4/4 che si trasformano in 2/4 improvvisamente, 7/8 che intervengono facendo perdere il senso ritmico delle frasi, melodie complesse e cambi agogici improvvisi, quasi rapsodici. Una bella sfida per il canto e il ballo: sul palco infatti non si deve “ascoltare”, ma muoversi e recitare “possedendo” la consapevolezza di quello che la musica sta facendo nell’ora, senza lasciarsi scappare il senso di attesa per quello che sta per succedere.

Una particolare menzione la merita il rapporto tra Gesù e la musica rock, che è un elemento fondante di questa messa in scena. Seppure apparentemente antitetici, i due elementi sono storicamente molto legati. Tale legame nasce negli anni della cosiddetta contestazione giovanile, nei quali la musica rock rappresentava a tutti gli effetti una rottura con il passato; questa musica forte, dissonante, “sgraziata”, rappresentava al meglio il senso di protesta e il bisogno di manifestare la distanza da un passato che ormai non rappresentava più una classe giovanile alla ricerca del proprio posto nel mondo.

In questo vediamo, in qualche modo, la stessa parabola di Gesù, visto come un rivoluzionario, che guida una rivolta verso il passato, in quel caso un ebraismo sempre più ricco di forma e privo di contenuti, nel quale le classi giovanili palestinesi iniziavano a non riconoscersi più.

Negli anni ’60 del ‘900 il fascino che la “contestazione religiosa” esercitava sui giovani sessantottini ha fatto si che nascesse questo forte legame tra la musica rock e Gesù.

Un esempio, emblematico, lo fornisce nel 1969 Fabrizio de André, quando con la pubblicazione della “Buona Novella” suggella questo legame, coronato dal ri-arrangiamento dell’album per mano della PFM.